venerdì 18 dicembre 2009

Mostra 'I marmi vivi' a Firenze

Dal Messaggero:

ROMA (13 maggio) - Che confidenza doveva avere Gianlorenzo Bernini col cardinale Scipione Borghese, per disegnarne una caricatura! Sarà anche per quella dimestichezza col Vaticano che a Roma siamo abituati a pensare che Bernini sia “nostro”. Le sue orme sono impresse in tutta la Città Eterna, da piazza Barberini, dove campeggia il Tritone, a piazza Navona, con la fontana dei Quattro Fiumi; dall’incrocio delle Quattro Fontane alla Galleria Borghese, che custodisce “Apollo e Dafne”, “Enea, Anchise e Ascanio”, “Ratto di Proserpina” e “David”. E’ conservata a Roma la prima opera di mano interamente sua, il “Giove nutrito dalla capra Amaltea” (sempre alla Borghese), e sempre qui viene ammirata la splendida Estasi di santa Teresa in santa Maria della Vittoria.

Ma l’esser stato definito il “padre del barocco romano” non deve far dimenticare che il Bernini nacque (nel 1598) a Napoli da padre fiorentino, anch’egli scultore, il quale spalancò al figlio le porte della committenza patrizia (Borghese, Aldobrandini, Barberini) facendolo collaborare spesso con lui, come per esempio nella cappella Barberini di Sant’Andrea della Valle.

Per ricondurre a sé le origini di questo artista decisivo Firenze ha organizzato all’interno di “Un anno ad arte 2009” la mostra “I Marmi vivi. Gian Lorenzo Bernini e la nascita del ritratto barocco”, visitabile al Bargello fino al 12 luglio (Catalogo Giunti). L’esposizione è concentrata in due sale per trentuno opere, ma offre una galleria esaustiva di ritratti. Tra questi, i cosiddetti “marmi parlanti” (speaking likeness, letteralmente la “somiglianza parlante”, secondo la definizione del Wittkower), realizzati nel decennio tra il 1630 e il 1640, alfieri di un nuovo tipo di ritratto scultoreo, capace di restituire le fisionomie dei personaggi e al contempo di catturarne le caratteristiche psicologiche.

Le 31 opere sono per lo più busti di Gian Lorenzo, special guest l’opera resident del Bargello, il Ritratto di Costanza Bonarelli (1637), la donna pazzamente amata (proprio come l’aveva sistemato un tempo nel suo atelier, il busto di Costanza è rivolto verso l’Autoritratto dell’artista). Questo è l’unico lavoro che gli fu consentito d’ultimare sotto il patronato dei Barberini: il busto di Thomas Baker, anch’esso qui esposto e rimasto incompleto, venne fatto di nascosto dal Papa, dalle cui esigenze Bernini fu completamente risucchiato. Costanza è accostata anche all’Isabella Brant di Rubens, di cui il pittore riesce a trasferire la brillante acutezza dello sguardo anche nei lineamenti.

La mostra, curata da Beatrice Paolozzi Strozzi, Maria Grazia Vaccari e Dimitrios Zikos, parte dalla presunta opera di esordio di un Gian Lorenzo quattordicenne, cioè dal naturalismo macabro del Ritratto di Antonio Coppola (molti non concordano sull’attribuzione, e lo riferiscono al padre), per arrivare ai tre “ritratti parlanti” di Scipione Borghese, Costanza Bonarelli e Thomas Baker, eseguiti nel quarto decennio del secolo, con cui l’esposizione si chiude. Proprio a significare che la potenza espressiva dei marmi è pari a quella dei ritratti dipinti, alle sculture si affiancano nell’esposizione anche dipinti di Velázquez, Rubens, Carracci. Alla pittura di Annibale (Il ritratto di Monsignor Agucchi) l’opera di Bernini si avvicina per il chiaroscuro, ma è interessante notare quanto siano affini come modalità espressive anche l’affilato Virginio Cesarini berniniano, marmo color della pelle e sguardo tristemente pensoso (per la prima volta visibile a distanza ravvicinata) e il ritratto dello stesso committente eseguito da Van Dyck, che ne ritrae l’identica attitudine alla concentrazione inquieta.

Lo stupore dello spettatore non può non appuntarsi su alcuni dettagli, come i bottoni nelle asole della mantellina di Antonio Cepparelli, il colletto di pizzo che incornicia il volto di Maria Barberini Duglioli, nipote del Barberini, morta di parto a soli vent’anni. La meravigliosa trina che ne incornicia il giovane volto è opera di uno degli allievi più importanti di Bernini, Giuliano Finelli, carrarese, al quale vennero affidati molti dei ritratti commissionati al Maestro, il cui lavoro fu monopolizzato, come detto, per vent’anni dal cardinal Maffeo Barberini, asceso al soglio pontificio col nome di Urbano VIII (1623): di lui sono presenti in mostra ritratti diversi, declinati sia in scultura (marmo, bronzo, porfido) che in pittura. Il Barberini continua ad accompagnarlo sempre, onnipresente e polimorfico, anche a 350 anni dalla morte.

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