venerdì 18 dicembre 2009

L'Arsenale di Civitavecchia

Giancarlo Rossi ha contribuito alla stesura dell’articolo sull’Arsenale di Civitavecchia di Gianlorenzo Bernini, pubblicato negli scritti d’Arte di Andrea Busiri Vici, Ugo Bozzi Editore 1990, fornendo le lettere autografe di Busiri Vici che hanno contribuito non solo ad inquadrare la rappresentazione figurativa di primo piano nella concezione Loreniana ma anche a fornire lo spunto a David Ryley Marshall per l’identificazione del più importante dipinto del Codazzi rappresentante l’Arsenale che ha così potuto trovare ampio spazio nella monografia del Marshall pubblicata da Sandi Japi Editore nel 1993.
Dalla lettere autografe di Busiri Vici si è potuto apprendere che il quadro, reperito sul mercato antiquario parigino, era entrato a far parte della sua raccolta di dipinti di ambiente romano del 600.
Da: http://portocivitavecchia.wordpress.com/2009/12/17/larsenale-di-civitavecchia-del-bernini/

I restauri di Palazzo Barberini

Palazzo Barberini Fervono i lavori di restauro per completare entro la prossima primavera il recupero del piano terra dello storico palazzo Barberini, sede della nuova Galleria Nazionale d'Arte Antica. A questo scopo oltre cinque milioni di euro sono stati appena finanziati dal Ministero per i Beni Culturali: «L'intero piano - ha detto il sottosegretario ai Beni culturali - Francesco Giro, una volta allestito, ospiterà la Pittura italiana ed europea del Duecento, del Trecento e del Quattrocento con i suoi capolavori che fino ad ora sono stati conservati nei depositi della galleria per mancanza di spazio espositivo». Il nuovo stanziamento si aggiunge infatti ai 10 milioni di euro già spesi e con i quali si è provveduto alla parte iniziale del restauro con i consolidamenti, il rifacimento di tutti gli impianti, il restauro del portico e delle sale del primo piano, tutti gli spazi esterni, con i bellissimi giardini e la serra. Ma le sorprese non sono finite.

«Per festeggiare degnamente i 140 anni dalla proclamazione di Roma capitale, ha annunciato Giro, nel settembre del 2010 sarà allestita una grande mostra di arte antica italiana nelle sale di Palazzo Barberini. Saranno riunite tutte le collezioni romane presenti sul territorio cittadino di proprietà dello stato. Fra le più importanti ricordiamo quella Torlonia, la Chigi, la Corsini e chiaramente la Barberini. Raccolte che sono dislocate in altre sedi, non sempre valorizzate come meriterebbero per mancanza di spazio». Le mura del Palazzo conservano la storia dell'Urbe a partire dal periodo barocco, dal 1623 quando Maffeo Barberini salì al soglio pontificio con il nome di Urbano VIII. Si fece urgente allora l'esigenza di una residenza adatta ad una famiglia di rango papale. Fu così che Francesco Barberini, nipote del papa, provvide all'acquisto dell'area compresa tra via delle Quattro Fontane e via Pia, l'attuale via XX Settembre. Il palazzo fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini, che subentra alla direzione dei lavori alla morte di Carlo Maderno.

Nel cantiere hanno lavorato in periodi diversi il giovane Borromini, cui è attribuita la scala elicoidale sul modello classico del Palazzo Farnese di Caprarola (VT) del Vignola, e Piero da Cortona, autore non solo dell'affresco il Trionfo della Divina Provvidenza celebrante la famiglia Barberini, ma anche di un teatro, oggi distrutto. Palazzo Barberini ospita una pinacoteca di arte antica fra le più grandi del mondo, costituita grazie a donazioni e acquisizioni. Nel corso degli anni, alle raccolte Corsini, Torlonia e Monte di Pietà, si aggiunsero le collezioni Odescalchi, Hertz e Chigi, Con i nuovi lavori di restauro di Palazzo Barberini verranno completate anche le ultime sale del Piano nobile che ospiteranno dipinti di Pietro da Cortona, Passarotti, Brill, Poussin, Bassano, oltre ai caravaggeschi. Il Palazzo diventerà sede della più ricca collezione del mondo.

Mostra 'I marmi vivi' a Firenze

Dal Messaggero:

ROMA (13 maggio) - Che confidenza doveva avere Gianlorenzo Bernini col cardinale Scipione Borghese, per disegnarne una caricatura! Sarà anche per quella dimestichezza col Vaticano che a Roma siamo abituati a pensare che Bernini sia “nostro”. Le sue orme sono impresse in tutta la Città Eterna, da piazza Barberini, dove campeggia il Tritone, a piazza Navona, con la fontana dei Quattro Fiumi; dall’incrocio delle Quattro Fontane alla Galleria Borghese, che custodisce “Apollo e Dafne”, “Enea, Anchise e Ascanio”, “Ratto di Proserpina” e “David”. E’ conservata a Roma la prima opera di mano interamente sua, il “Giove nutrito dalla capra Amaltea” (sempre alla Borghese), e sempre qui viene ammirata la splendida Estasi di santa Teresa in santa Maria della Vittoria.

Ma l’esser stato definito il “padre del barocco romano” non deve far dimenticare che il Bernini nacque (nel 1598) a Napoli da padre fiorentino, anch’egli scultore, il quale spalancò al figlio le porte della committenza patrizia (Borghese, Aldobrandini, Barberini) facendolo collaborare spesso con lui, come per esempio nella cappella Barberini di Sant’Andrea della Valle.

Per ricondurre a sé le origini di questo artista decisivo Firenze ha organizzato all’interno di “Un anno ad arte 2009” la mostra “I Marmi vivi. Gian Lorenzo Bernini e la nascita del ritratto barocco”, visitabile al Bargello fino al 12 luglio (Catalogo Giunti). L’esposizione è concentrata in due sale per trentuno opere, ma offre una galleria esaustiva di ritratti. Tra questi, i cosiddetti “marmi parlanti” (speaking likeness, letteralmente la “somiglianza parlante”, secondo la definizione del Wittkower), realizzati nel decennio tra il 1630 e il 1640, alfieri di un nuovo tipo di ritratto scultoreo, capace di restituire le fisionomie dei personaggi e al contempo di catturarne le caratteristiche psicologiche.

Le 31 opere sono per lo più busti di Gian Lorenzo, special guest l’opera resident del Bargello, il Ritratto di Costanza Bonarelli (1637), la donna pazzamente amata (proprio come l’aveva sistemato un tempo nel suo atelier, il busto di Costanza è rivolto verso l’Autoritratto dell’artista). Questo è l’unico lavoro che gli fu consentito d’ultimare sotto il patronato dei Barberini: il busto di Thomas Baker, anch’esso qui esposto e rimasto incompleto, venne fatto di nascosto dal Papa, dalle cui esigenze Bernini fu completamente risucchiato. Costanza è accostata anche all’Isabella Brant di Rubens, di cui il pittore riesce a trasferire la brillante acutezza dello sguardo anche nei lineamenti.

La mostra, curata da Beatrice Paolozzi Strozzi, Maria Grazia Vaccari e Dimitrios Zikos, parte dalla presunta opera di esordio di un Gian Lorenzo quattordicenne, cioè dal naturalismo macabro del Ritratto di Antonio Coppola (molti non concordano sull’attribuzione, e lo riferiscono al padre), per arrivare ai tre “ritratti parlanti” di Scipione Borghese, Costanza Bonarelli e Thomas Baker, eseguiti nel quarto decennio del secolo, con cui l’esposizione si chiude. Proprio a significare che la potenza espressiva dei marmi è pari a quella dei ritratti dipinti, alle sculture si affiancano nell’esposizione anche dipinti di Velázquez, Rubens, Carracci. Alla pittura di Annibale (Il ritratto di Monsignor Agucchi) l’opera di Bernini si avvicina per il chiaroscuro, ma è interessante notare quanto siano affini come modalità espressive anche l’affilato Virginio Cesarini berniniano, marmo color della pelle e sguardo tristemente pensoso (per la prima volta visibile a distanza ravvicinata) e il ritratto dello stesso committente eseguito da Van Dyck, che ne ritrae l’identica attitudine alla concentrazione inquieta.

Lo stupore dello spettatore non può non appuntarsi su alcuni dettagli, come i bottoni nelle asole della mantellina di Antonio Cepparelli, il colletto di pizzo che incornicia il volto di Maria Barberini Duglioli, nipote del Barberini, morta di parto a soli vent’anni. La meravigliosa trina che ne incornicia il giovane volto è opera di uno degli allievi più importanti di Bernini, Giuliano Finelli, carrarese, al quale vennero affidati molti dei ritratti commissionati al Maestro, il cui lavoro fu monopolizzato, come detto, per vent’anni dal cardinal Maffeo Barberini, asceso al soglio pontificio col nome di Urbano VIII (1623): di lui sono presenti in mostra ritratti diversi, declinati sia in scultura (marmo, bronzo, porfido) che in pittura. Il Barberini continua ad accompagnarlo sempre, onnipresente e polimorfico, anche a 350 anni dalla morte.

Gianlorenzo Bernini

GIANLORENZO BERNINI
di Liliana Battaglia e Manuela Nicaso
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Gian Lorenzo Bernini è uno dei personaggi dominanti nel Seicento italiano. Architetto, scultore, pittore, scenografo, scrittore di teatro, possiamo considerarlo uno dei principali interpreti dell'arte barocca, i cui caratteri essenziali si possono indicare nella nuova concezione dello spazio e della natura, negli effetti suggestivi di luci e ombre, nell'esaltazione dell'espressività e nella teatralità scenografica. Bernini nacque a Napoli nel 1598 da madre napoletana e da Pietro Bernini, scultore fiorentino trasferitosi con la famiglia a Roma quando iniziò a lavorare al rilievo con l'ASSUNTA nel battistero di Santa Maria Maggiore e all'altro rilievo con l'INCORONAZIONE DI CLEMENTE VII nella cappella Paolina sempre in Santa Maria Maggiore. La vita di Bernini si svolse interamente nella città papale , che lasciò solo una volta quando si recò in Francia alla corte di Luigi XIV per presentare i progetti per il rinnovamento del Louvre. Eccetto brevi interruzioni la sua carriera fu segnata da un tale successo che prima di lui solo Michelangelo aveva ottenuto una così grande considerazione dai papi e dai potenti del tempo. Dimostrò ben presto la sua inclinazione all'arte e la sua formazione si compì proprio nell'ambito paterno. Abbastanza presto inoltre il rapporto tra Gian Lorenzo e il padre si trasformò da semplice discepolato a vera e propria collaborazione. I due, infatti, lavorarono congiuntamente nel bellissimo gruppo raffigurante un FAUNO CHE SCHERZA CON AMORINI, risalente al 1614 (Metropolitan Museum di New York).



 Si tratta di un'opera in cui l'elegante naturalezza richiama modelli del tardo ellenismo rivisitati e interpretati in maniera moderna. Lo stile scultoreo di Bernini subì considerevoli trasformazioni che si possono associare genericamente con determinati periodi della sua vita. Al primo gruppo di opere, databile tra il 1615 e il 1617, appartiene la CAPRA AMALTEA CON GIOVE INFANTE E UN SATIRO



 (Roma, Galleria Borghese), che, nonostante i legami con il manierismo, mostra una straordinaria libertà e perfezione nel trattamento della superficie marmorea. Il soggetto antico è rivissuto con naturalezza.  Le superfici levigate e tondeggianti delle carni paffute dei bambini si oppongono alle parti grezze del vello dell'animale e mostrano come la materia si differenzia per vario trattamento e tonalità. Il gruppo ha subito sicuramente l'influenza alessandrina al punto che un tempo era stato ritenuto ellenistico. La fase successiva incomincia con l'ENEA, ANCHISE E ASCANIO (1618-1619)



 fuggitivi da Troia, il primo gruppo destinato ad ornare insieme al RATTO DI PROSERPINA (1621-1622), al DAVID (1623), e all'APOLLO E DAFNE (1622-1625) le sale della Galleria Borghese su commissione del cardinale Scipione Borghese. Attraverso la sequenza temporale delle quattro sculture di soggetto profano ben si coglie lo sviluppo di Bernini. Nelle prime due mette a profitto il virtuosismo manieristico. Nel DAVID



 Bernini si stacca dalla tradizione rinascimentale e in particolar modo dall'interpretazione michelangiolesca: non esalta l'eroe, ma coglie l'istante dell'azione. L'ENEA, ANCHISE E ASCANIO, la cui fonte letteraria è l'ENEIDE, presenta ancora alcune gracilità formali; per la figura serpentinata richiama precedenti manieristici e in particolare un simile episodio raffigurato da Raffaello nell'INCENDIO DI BORGO in Vaticano. Il RATTO DI PROSERPINA,



 che aderisce perfettamente alla fonte letteraria, le metamorfosi di Ovidio, è da considerarsi una libera reinvezione dell'antico e presenta una composizione elaborata e ad assi divergenti. Tratta sempre dalle "Metamorfosi "di Ovidio, l'APOLLO E DAFNE



 richiama più delle altre opere la grazia formale ellenistica, ricollegandosi per la figura del dio Apollo al famoso modello dell'APOLLO DEL BELVEDERE. La ninfa Dafne per sottrarsi alla violenza di Apollo 0ottenne da Zeus di essere trasformata in alloro. Bernini riesce a conferire alle due figure un movimento prima di allora sconosciuto alla tradizione scultorea. Le due figure sembrano sfiorare appena la base col loro passaggio leggerissimo disponendosi nello spazio secondo una linea obliqua che dalla gamba sinistra sollevata del dio giunge fino alla mano destra della ninfa già trasformata in ramo di alloro. La scena di grande drammaticità viene ricondotta da Bernini in una dimensione di armonia ed eleganza. Il marmo viene trattato con tanta raffinatezza fino quasi a raggiungere la trasparenza, mentre la luce e l'ombra lo accarezzano animandolo dolcemente. Il DAVID, infine, realizza una tensione in contrapposto. A differenza del Rinascimento che aveva rappresentato il David immobile, meditativo, cosciente della propria virtus, Bernini invece lo coglie nell'attimo in cui teso nello sforzo sta per scagliare il sasso con la fionda. Per questo motivo il corpo ruota sulle gambe divaricate, il busto si curva deviando l'asse verticale mentre gli occhi sono intenti nel prendere la mira e la fronte corrugata per la concentrazione. Secondo quanto raccontano i biografi del Bernini, l'artista avrebbe rappresentato se stesso nel viso di David guardandosi allo specchio. Anche se differenti tra loro tutte queste statue mostrano un momento transitorio, il punto culminante di un'azione. Nel 1623eletto papa Urbano VIII, Bernini fu subito chiamato da questo ed ebbe la commissione di grandi lavori per due sedi importanti: la nuova facciata di sella chiesa di Santa Bibiana e la statua della santa sull'altare, e il Baldacchino in San Pietro. Il BALDACCHINO (1624-1633)



fu la prima impresa di carattere monumentale, per la realizzazione della quale Bernini dovette servirsi della collaborazione del padre, del fratello e di altri colleghi, fra cui Francesco Borromini. Dovette inoltre affrontare ingenti problemi tecnici.Innanzitutto quello del materiale che l'artista risolse con la spoliazione del bronzo del Pantheon. Un altro problema fu l'inserimento del baldacchino in un luogo già fortemente caratterizzato architettonicamente. Si trattava, infatti, di mettersi in relazione con la cupola di Michelangelo proporzionandosi con essa e allo stesso tempo tradire la concezione dello spazio accentrato verso il vertice della cupola con la concezione barocca del decentramento delle forze con il movimento verso l'esterno. Bernini superò la forma tradizionale dei cibori, strutture architettoniche in passato simili a templi, creando una struttura dinamica che contemporaneamente è architettura, scultura e decorazione. Prima di andare avanti è opportuno capire la visione che Bernini ha delle tre arti.Egli non le concepisce in modo separato ma le immagina come un'unica forma espressiva integrata. La scultura così viene considerata una specie di arte pittorica a tre dimensioni, che si appropria dei giochi di luce e di ombra caratteristici della pittura. La fusione delle tre arti ha lo scopo di aumentare la partecipazione emotiva dell'osservatore. Ritornando al baldacchino, questo è costituito da quattro colonne tortili di bronzo che, mentre si avvitano verso l'alto, esprimono un moto dilatatorio orizzontale che si propaga verso i quattro pilastri che sostengono la cupola, scavati in nicchie. Le nicchie presentano due ordini. In basso Bernini colloca quattro statue gigantesche, una delle quali scolpita proprio da lui. In alto oltre una balconata vi sono le logge delle Reliquie, inquadrate da colonne tortili che riprendono il motivo delle colonne del baldacchino. Quest'ultime colonne in bronzo scuro anziché creare rivalità con l'architettura della chiesa, stabiliscono un contrasto drammatico con i pilastri della cupola e con gli altri elementi strutturali in marmo bianco della costruzione. Le colonne inoltre terminano con quattro angeli dietro i quali si ergono le volute che si incontrano sotto la trabeazione ricurva e sormontata dalla croce sul globo dorato. Un primo progetto prevedeva un coronamento ad archi incrociati, sorreggente una statua di Cristo Risorto. Ogni parte di questa struttura è accompagnata dalla scultura. Partendo dal basso possiamo notare lo stemma dei Barberini, famiglia alla quale appartiene Urbano VIII, contenuto nei pannelli dei piedistalli; i rami di lauro che si arrampicano sulle colonne; gli angeli che reggono ghirlande come corde per tenere le volute in posizione, senza fare alcuno sforzo. Nella parte alta troviamo ancora i putti con i simboli del potere papale, i rami di palma fortemente curvati e le api che sembrano sostenere il globo. Le colonne inoltre non sono collegate con un'architrave ma con dei realistici panneggi, che ricordano il vero baldacchino tenuto sopra il papa quando viene portato in pompa magna attraverso la basilica.
Nel 1628 Bernini inizia a lavorare alla realizzazione del SEPOLCRO DI URBANO VIII, che verrà completato solo nel 1547, tre anni dopo la morte del papa.

 
 
 
 

 La collocazione del monumento nell'abside della basilica di San Pietro, di fronte a quello di Paolo III Farnese aveva lo scopo di creare un legame storico tra il pontefice del Concilio di Trento e lo stesso Urbano VIII, perché entrambi erano stati impegnati nella difesa del primato della Chiesa.
La figura del papa viene rappresentata in atteggiamento più di imperio che di benedizione, quasi a voler affermare il potere non solo spirituale ma anche temporale del papato. La struttura si presenta dinamica anche grazie alla varietà cromatica dei marmi e dei bronzi, che non è priva di significato: tutto ciò che è in diretto contatto con il defunto, il sarcofago, lo scheletro alato, simbolo della morte, la statua papale è realizzata in bronzo scuro. In contrasto con queste cose, le allegorie della Carità e della Bontà sono realizzate in splendente marmo bianco e manifestano qualità chiaramente umane. Esse invece che recumbenti sul sarcofago (come nelle tombe cinquecentesche) sono in piedi: la Carità nell'atto di rivolgersi verso un bambino piangente mentre ne tiene tra le braccia uno addormentato, la Giustizia in atteggiamento pensoso. Queste figure con le loro reazioni umane e col loro aspetto sensuale e attraente si pongono come mediatrici tra l'osservatore e la statua papale, che per il colore cupo sembra molto lontana dalla sfera umana.
Bernini non fu solamente impegnato nella scultura, ma ebbe un ruolo importantissimo anche nell'architettura del tempo. La sua attività nell'ambito dell'architettura civile inizia nel 1629, quando morto Carlo Maderno, fu chiamato ad intervenire nella costruzione del PALAZZO BARBERINI.



 Bernini di fatti intervenne decisamente modificando il primitivo progetto di Maderno e inserendo elementi decorativi all'interno, come il disegno dei contorni delle porte. L'edificio è costituito da un corpo centrale e da due laterali ortogonali al primo, così da creare uno spazio naturale, un cortile entro il palazzo chiuso per tre lati e aperto nel quarto. La parte frontale, interamente realizzata dal Bernini, richiama la tradizione cinquecentesca per quanto riguarda il sobrio porticato inferiore e la sovrapposizione degli ordini: tuscanico, ionico e corinzio.
Del 1632 è il busto di SCIPIONE BORGHESE,



 caratterizzato da uno stile dinamico. La testa è presentata in un movimento momentaneo, l'occhio sembra fissare l'osservatore e la bocca semiaperta, come se stesse parlando, sembra invitare l'osservatore a conversare. La dinamicità dell'opera si può notare anche nel drappeggio non più plastico e saldo. Il marmo è trattato come fosse morbida cera: mosso nel volto per renderne la maturità, levigatissimo nella veste per ottenere la lucentezza della seta. Del busto di Scipione Borghese conserviamo anche un disegno e una caricatura.
Di qualche anno posteriore, probabilmente del 1635, è il busto di Costanza Bonarelli



 (Firenze, Museo Nazionale del Bargello). Il personaggio viene sorpreso in un atto momentaneo con la bocca semiaperta e lo sguardo vivo. Il movimento del tronco è realizzato dal variato ondeggiare del panneggio, mentre i capelli scomposti, la camicia aperta sembrano ritrarre la donna non più n modo idealizzato ma quanto più realisticamente possibile, quasi fosse stata sorpresa nell'intimità della sua casa.
Il periodo che va approssimativamente dal 1640 al 1655 è considerato il più importante e creativo di tutta la carriera berniniana, nonostante le iniziali difficoltà professionali che si verificarono con l'elezione papale di Innocenzo X della famiglia dei Pamphily. Il nuovo papa, infatti, inizialmente si servì il meno possibile degli artisti prediletti da Urbano VIII, spostando il suo interesse sullo scultore Alessandro Algardi e sull'architetto Francesco Borromini.
Nel 1646 Bernini, amareggiato per l'abbattimento del campanile con il quale aveva progettato di concludere la facciata di San Pietro, si era cercato un riscatto privato eseguendo per se stesso un gruppo marmoreo raffigurante la VERITA' RIVELATA DAL TEMPO, del quale fu compiuta solo la figura della VERITA' (1646-1652) Roma



, Galleria borghese, conforme all'immagine che Cesare Ripa ne aveva dato nella sua "Iconologia". Col suo corpo snodato, il volto ridente la statua anticipa alcuni caratteri delle statue della fase finale.
Ma in questo periodo realizzò soprattutto la CAPPELLA CORNARO (1647-1651) in SANTA MARIA DELLA VITTORIA, con l'ESTASI DI SANTA TERESA.



L'opera, commissionata dalla famiglia Cornaro, rappresenta il momento culminante della ricerca berniniana sull'unificazione delle tre arti. Si può considerare dunque il manifesto del "bel composto", ossia dell'unità tematica e visiva tra architettura, scultura e pittura. Essa si presenta come un fastoso impianto scenico nel quale i membri della famiglia Cornaro assistono dalle loggette laterali all'evento della  transverberazione di Santa Teresa, che viene rappresentata mentre viene sopraffatta dalla soprannaturale visione di Dio. L'evento mistico si compie sull'altare entro una nicchia racchiusa dall'andamento convesso delle colonne binate e del timpano. Il gruppo di Santa Teresa e l'angelo ha un carattere pittorico, possiamo paragonarlo quasi ad un quadro vivente. Bernini scolpisce la Santa immaginandola semidistesa su una nuvola sospesa a mezz'aria, mentre un angelo sorridente, più simile a l Cupido della mitologia classica che a un'entità spirituale cristiana, sta per trafiggerle simbolicamente il cuore con una freccia. Il sottile sorriso dell'angelo sta in contrapposizione all'espressione severa e drammatica del viso della Santa. Dietro al gruppo una cascata di raggi dorati allude alla presenza divina. L'estasi di Santa Teresa è simile ad un abbandono sensuale sottolineato dall'intensa espressione del volto, dal capo abbandonato all'indietro, e dalle vesti scomposte. L'esperienza mistica dunque si fonde con una passionalità reale quasi al limite dell'erotismo. Bernini tradusse in immagine l'intima essenza di Teresa, costituita da una mescolanza di spiritualità e sensualità, e chiaramente rivelata dalla Santa in alcuni suoi scritti, che Bernini sicuramente lesse prima di dar vita all'opera. Bernini in quest'opera abbandona la compostezza classicheggiante della scultura rinascimentale. Nel viso dell'angelo e nell'impostarsi dei corpi sulla nuvola si rivelano influenze del Correggio e del Lanfranco, superate però nella soluzione mai tentata prima di un gruppo visto in profondità trasversale. La spettacolarità dell'opera viene chiaramente svelata dal Bernini ricavando ai lati della cappella due palchetti, oltre i quali si scorgono maestose architetture in prospettiva convergenti verso l'altare che creano degli spazi fittizi dilatando ulteriormente lo spazio reale. Da tali palchetti si affacciano in rilevo otto membri defunti della famiglia Cornaro che parlano tra di loro del miracolo che avviene sull'altare, quasi come stessero assistendo a uno spettacolo.
La cappella è stata concepita da Bernini come un enorme dipinto. Nella zona più bassa l'osservatore si trova davanti un'armonia di colori brillanti e caldi (rosso- verde- giallo). IL punto focale di tutta la composizione, ossia il gruppo di Santa Teresa con l'angelo, è caratterizzato dal candore del marmo levigatissimo, al quale si contrappongono le colonne scure che ne fanno da cornice. Più in alto la gamma dei colori si alleggerisce e sulla volta s apre il cielo dipinto. La luce cade attraverso una finestra con i vetri gialli, celata dietro il frontone, e si materializza nei raggi d'oro che circondano il gruppo. Bernini trattò in modo rivoluzionario non solo il colore ma anche la luce. Essa, in contrasto con la luce calma e diffusa del Rinascimento, sembra momentanea e transitoria. Si tratta di una luce guidata e spesso celata che santifica gli oggetti e le persone che colpisce, e che ha un ruolo importantissimo nel produrre un'impressione convincente di miracolo e di visione.
Bernini diede anche un contributo particolare alla storia della fontana barocca. Con la FONTANA DEI QUATTRO FIUMI (1647-1651).



Bernini rivoluzionò la forma tradizionale delle fontane cinquecentesche. La fontana fu la prima opera commissionata a Bernini da Innocenzo X e fu progettata per ornare Piazza Navona, nella quale sorgeva il palazzo della famiglia Pamphily. L'opera è costituita al centro da un obelisco antico sostenuto da una scogliera naturale aperta in basso da una grotta, sulla quale siedono quattro imponenti figure simboleggianti i fiumi dei quattro continenti: il Danubio, il Nilo, il Gange, il Rio de Plata. L'opera è una spettacolare metafora della Grazia divina che si riversa su tutti i continenti.
Bernini affrontò numerose volte il tema della fontana (dall'epoca della Barcaccia a quella del Moro). Questo tema è collegato a quello dell'acqua, elemento indispensabile alla vita collettiva, momento di unione della natura con l'uomo. Inoltre l'acqua con il suo perpetuo trascorrere e rinnovarsi è congeniale al Seicento, così sensibile alla transitorietà di tutte le cose.
Bernini, comunque, non fu solamente l'artista dei papi ma lavorò anche per altri committenti. Infatti tra il 1650-1651 fece il busto del duca FRANCESCO I D'ESTE



, sviluppando il tema del ritratto eroico espanso nello spazio. Bernini trovò una nuova soluzione al vecchio problema del tronco mozzato dei busti, rompendo la linea marginale del busto per mezzo dell'ampio mantello, che, insieme alla ricchezza dei riccioli della parrucca, allo sguardo attento, rende perfettamente l'idea della sovranità del personaggio, del suo assolutismo.  
   Il clima culturale della Roma pontificia mutò di nuovo con l'elezione, nel 1655, di Fabio Chigi, che prese il nome di Alessandro VII. Egli era, come Urbano VIII, un intellettuale; come Urbano VIII, appena eletto, chiamò Bernini e gli espose i propri progetti che erano principalmente di carattere urbanistico e che coinvolsero i maggiori architetti del momento. Tra le prime iniziative da lui promosse ci fu la sistemazione di Piazza Del Popolo e della chiesa di Santa Maria Del Popolo. Alla cappella dei Chigi Bernini dette un nuovo assetto corredandola con le statue di DANIELE e di ABACUC CON L'ANGELO

 
 

 (1655-1666). Si inaugura così una nuova fase della scultura berniniana. Dal Daniele in poi, con la sola eccezione dell'Abacucco, tutte le figure più tarde del Bernini mostrano le membra sottili ed esageratamente allungate riscontrabili per la prima volta nella "Verità svelata", poi anche nella "Maria Maddalena" nella cattredrale di Siena, negli angeli ai lati del seggio della Cattreda e negli angeli per il ponte Sant'Angelo con i loro corpi eterei e le estremità molto allungate.
 L'ABACUCCO è progettato da Bernini in contrapposizione al raffaellesco Giona del Lorenzetto. Il gruppo del Bernini nono offre un coerente piano di rilievo ma si proietta e indietreggia vigorosamente nella terza dimensione. In aggiunta alla sistemazione contrapposta delle gambe, del torso, della testa e del braccio dell'Abacucco, c'è l'angelo voltato nella nicchia che afferra il profeta per la ciocca di capelli e punta attraverso l'ambiente nella direzione della nicchia di Daniele. Le figure non solo si muovono liberamente in profondità ma sembrano appartenere allo spazio stesso in cui l'osservatore vive, dunque le statue sono così reali che condividono con lo spettatore lo spazio senza interruzione. Tuttavia esse rimangono delle opere d'arte pittoriche in senso limitato e specifico poiché richiedono il punto di vista esatto non solo per penetrare lo spazio ma anche per afferrare in pieno il significato dell'azione o del tema raffigurati. L'impianto è ricco di divergenze e corrispondenze accomunate da una luminosità trasparente. Il punto culminante dell'azione può essere rivelato completamente da un punto di vista solo. Mentre il Bernini accetta a un livello nuovo e sofisticato i principi rinascimentali della scultura con un solo punto di vista, egli incorpora anche tratti essenziali caratteristici della scultura manieristica. I manieristi discussero se una scultura dovesse avere uno o più punti di vista optando per quest'ultima soluzione. Il moltiplicarsi dei punti di vista nella scultura giunse sulla scia di un profondo cambiamento spirituale, perché lo scultore socialmente elevato del 1500, che rifiutava di essere un semplice artigiano, pensava le proprie opere servendosi di modellini in cera e argilla. Così egli creava, senza le restrizioni imposte materialmente dal blocco. La concezione rinascimentale della scultura come arte di lavorare la pietra incominciò a trasformarsi in arte di lavorare l'argilla e la cera e questa rivoluzione del XVI sec. portò al declino della scultura manierista. Bernini non ritornò alle limitazioni rinascimentali dettate dalla forma del blocco, perché voleva inserire la sue statue nello spazio circostante, ma, combinò il punto di vista unico delle statue rinascimentali con la libertà ottenuta dai manieristi. Così egli pose le fondamenta della sua nuova, barocca concezione della scultura.
COLONNATO



Un anno dopo l'esecuzione delle statue sopraddette Bernini si dedica al suo più importante lavoro architettonico: la sistemazione di Piazza San Pietro i cui primi studi risalgono al 1656 e si protrassero per circa un anno. L'artista dovette affrontare problemi di carattere liturgico e psicologico e dovette anche porsi per la prima volta il problema dello spazio esterno. Prima di affrontarlo egli progetta due campanili laterali alla facciata: progetto già del Maderno, che a sua volta l'aveva preso dal Bramante. Lo scopo era quello di correggere la sproporzione della facciata troppo larga rispetto all'altezza, ridotta per lasciare in vista la cupola, inoltre, quei due montanti avrebbero inquadrato la cupola facendola sembrare più vicina e collegandola alla facciata. La piazza doveva essere un ampio spazio atto ad accogliere i fedeli convenuti per ricevere la benedizione papale data simbolicamente a tutto il mondo, a Pasqua e in altre occasioni: di conseguenza la loggia della benedizione doveva essere perfettamente visibile a tutti e la forma stessa della piazza doveva esprimere
 L’abbraccio della chiesa a tutta la comunità cristiana. Inizialmente Bernini disegnò una piazza trapezoidale racchiusa tra palazzi di tipo tradizionale, ma lo schema fu presto abbandonato e nel 1657 il progetto iniziale fu sostituito da un altro con porticati di colonne isolate a formare una piazza ellittica.  Che riprendeva la forma curva della cupola, la rovesciava presentandola aperta come una coppa, la dilatava trasformandola da rotonda in ellittica. Le colonne erano sovrastate da una trabeazione ionica diritta. Di tutte le invenzioni del Bernini questa è la più geniale: non soltanto riscatta e mette in valore l'intero corpo della basilica, ma fa dell'antico quadriportico una grande piazza, l'anello che raccorda il monumento alla città. Questa è un'architettura solenne per la maestà delle possenti colonne doriche classicamente ordinate in quattro file parallele, che formano un contrasto voluto con le alte colonne sottili corinzie della facciata. Bernini aveva progettato un terzo braccio del colonnato che avrebbe dovuto chiudere l'ovale. In seguito decise di arretrare questo braccio in modo da comporre una piccola antipiazza. Tuttavia tali progetti non furono realizzati. Il porticato è costituito da quattro file di 284 colonne e 88 pilastri di misure colossali. Le testate degli emicicli sono coronate da timpani al di sopra dell'architrave che collega fra loro le colonne, qui corre una balaustra su cui poggiano 162 statue di santi e gli stemmi Chigi, alla cui famiglia apparteneva Alessandro VII che nel 1657 benedisse la prima pietra dell'opera. In mezzo alla piazza vi è un obelisco antico collocatovi nel 1586 da Domenico Fontana. Le due belle fontane seicentesche che lo affiancano sono una vi Maderno e l'altra di Carlo Fontana. Il colonnato è un'architettura dinamica lontana dalla staticità rinascimentale (concetto già visto nella scultura) che si muove insieme allo spettatore perché gli ingressi laterali determinano una visione obliqua rispetto alla facciata. L'impianto prospettico concepito dall’artista non era quello centrale con un unico punto di vista tipico della tradizione rinascimentale, ma egli aveva immaginato due punti di vista e quindi due impianti prospettici laterali in corrispondenza con gli ingressi in Piazza San Pietro che avvenivano da due stradette: i borghi Vecchio e Nuovo distrutti nel 1937 per aprire l'attuale Via Della Conciliazione, che molto lunga e larga, non soltanto offre la prima visione di San Pietro da lontano ma stabilisce un punto di vista centrale. Come succede con la maggior parte delle idee nuove e vitali, dopo aspri attacchi iniziali, i colonnati divennero della massima importanza per la storia dell'architettura posteriore (vedi Napoli). Dedito ancora a San Pietro Bernini realizza la CATTEDRA



 (1657-66) nell'abside della basilica. I materiali usati sono il marmo, il bronzo e lo stucco dorato. Questa è l'opera più complessa dell'artista e dato il posto e la portata simbolica, la più significativa. E' un capolavoro non solo di scultura ma di quel genere misto di plastica, di architettura e di colore nel quale era maestro. Essa si lega al baldacchino, le cui colonne fanno da cornice. La cattedra è un seggio ligneo, che la tradizione identifica con quella che servì all'apostolo Pietro per l'adempimento della sua missione di primo successore di Cristo e di vescovo di Roma. Essa è sospesa nel vuoto colta nel suo innalzarsi trionfale, sollevata con leggerezza miracolosa dai quattro padri della chiesa che stanno di lato in profondità. Sant'Ambrogio, Sant'Atanasio, Sant' Agostino, San Giovanni Crisostomo presentano volti pieni di passione e tensione emotiva e ampi panneggi mossi dal gioco dei riflessi. Bernini sviluppa di nuovo quel senso passionale della fede che aveva sperimentato nell'altare della Cappella Cornaro. Sullo schienale del seggio c'è un rilievo di Cristo che porge le chiavi a San Pietro e sopra i sedili alcuni putti portano i simboli papali, la tiara e le chiavi. In alto infine al centro della gloria angelica c'è l'immagine trasparente dello Spirito Santo simboleggiato dalla colomba. Il gioco raffinato del marmo multicolore, bronzo dorato e stucco è immerso nella luce gialla che la gloria divina emana dal centro. Nonostante l'estensione spaziale la composizione è sistemata ed equilibrata con la massima cura. La gamma di colore si alleggerisce progressivamente dai piedistalli di marmo al trono di bronzo con decorazioni dorate fino agli angeli d'oro della gloria. I raggi dorati si stendono su tutta l'ampiezza dell'opera e intensificano la concentrazione visiva sul punto focale simbolico: l'area del trono. Nella cattedra ancora una volta l'elemento unificatore è pittorico e la conseguenza dell'effetto è data dalla luce che coordina forme e distanze, che suscita un'onda di riflessi vibranti, che crea rapporti di tonalità sull'oro e sul bronzo, investendo la raggiera, gli angeli e le figure sullo sfondo architettonico dell'abside.
La possibilità di mostrare il suo talento come progettatore di chiese gli fu data solo nel 1658: le sue tre chiese, San Tommaso di Villanova a Castel Gandolfo (1658-61), Santa Maria Dell'Assunzione ad Ariccia (1662-1664) e quella di SANT'ANDREA AL QUIRINALE



(1658-1670) sorsero quasi simultaneamente e nonostante le piccole dimensioni sono di grande importanza, non solo per le loro qualità ma anche per il loro straordinario influsso. Di gran lunga la più importante delle tre chiese è Sant'Andrea al Quirinale commissionata dal cardinale Camillo Pamphily per i novizi dell'ordine dei Gesuiti. La costruzione iniziò contemporaneamente alla chiesa di Castel Gandolfo ma ci volle molto tempo per completare questa chiesa a pianta ovale (pianta tipicamente barocca) con l'asse trasversale più lungo dell'asse principale tra l'entrata e l'altare. Utilizzò questa pianta sia per fare in modo che entrando l'altare si trovasse più vicino all'ingresso ma anche per ridurre la centralità e la circolarità, evitando così la veduta privilegiata del centro, moltiplicando i punti di vista e dando allo spazio un andamento orbitale. Alle estremità dell'asse trasversale troviamo i giganteschi pilastri sovrastati dalla trabeazione che limitano l'espansione laterale dello spazio interno. Il nostro sguardo è costretto così a seguire l'andamento dei pilastri sorvolando invece sulla scure cappelle minori che si aprono lungo le pareti, e arrivando direttamente alla cappella maggiore inquadrata da una grande edicola che presenta due colonne e una significativa rientranza dove si trova l'altare. Qui, nell'apertura concava del frontone, Sant'Andrea si innalza al cielo su una nuvola. Tutte le linee dell'architettura culminano e convergono in questa scultura, che attira fortemente l'attenzione del visitatore. Colore e luce collaborano all'ascensione miracolosa. In basso, nella sfera umana, la chiesa splende di prezioso marmo scuro multicolore. In alto, nella sfera celeste della cupola, i colori sono bianco e oro, lo spazio ovale è uniformemente illuminato da finestre fra i costoloni tagliate in profondità nei cassettoni della cupola. Una luce brillante entra dalla lanterna nella quale teste scolpite di cherubini e la colomba dello Spirito Santo sembrano attendere l'ascesa del santo. Tutte le cappelle sono sensibilmente più scure della stanza congregazionale. Possiamo ancora notare una sottile differenziazione nell'illuminazione di queste cappelle: quelle grandi di fianco all'asse trasversale hanno una luce diffusa mentre le altre situate negli assi diagonali sono sprofondate nell'ombra. Per l'esterno: la cupola è racchiusa in un involucro cilindrico. Il cornicione sembra proseguire sotto i giganteschi pilastri della facciata e si estende in avanti nel portico semicircolare dove è sostenuto da due colonne ioniche. Il portico sormontato dallo stemma dei Pamphily è l'unica nota di rilievo in una facciata altrimenti austera.
Abbiamo già visto che il patronato dei Chili impegnò Bernini in imprese delle quali egli curò sia la progettazione architettonica, sia quella decorativa: esempio sono la Chiesa di Castel Gandolfo e quella di Ariccia e la cappella della stessa famiglia Chigi nel duomo di Siena, per il quale eseguì personalmente le statue di San Gerolamo e della MADDALENA (1662-63), di nuovo improntate a una specie di espressionismo devozionale. Abbiamo visto prima la nuova tendenza a trattare i corpi che ora sono sottili e con le estremità molto allungate. Parallelamente a questa propensione diventa sempre più impetuoso e sofisticato il modo di trattare i vestiti, che via via si smaterializzano e vengono visti come modelli astratti atti a comunicare all'osservatore un sentimento di appassionata spiritualità. Nel caso della Maddalena il movimento e il contromovimento di due cordoni di pieghe strettamente attorcigliate che attraversano il corpo, esprimono molto bene l'agonia e l'ansia della santa. La statua appare legata con estrema tensione a Dio al quale rivolge un'invocazione piena di ardore e di sofferenza, mentre la luce, scendendo dall'alto, segna profondamente le occhiaie e la bocca, crea lunghe ombre nel panneggio, che con il suo andamento accompagna e sottolinea la strana e disarticolata composizione della figura che sembra scivolare all'indietro. Con la sua forma allungata la statua si allontana dal canone consueto di bellezza, mentre per la sua tensione passionale sembra preannunciare la Verità del monumento funebre di Alessandro VII, la quale, ripetendone la composizione ne accentuerà il languore e sarà meno piena e robusta. Nel 1662 circa Bernini inizia anche il MONUMENTO EQUESTRE DELL'IMPERATORE COSTANTINO



(marmo e stucco dipinto). Progettato prima sotto Innocenzo X per una collocazione all'interno della basilica di San Pietro, il gruppo fu realizzato soltanto per Alessandro VII e posto presso l'imbocco della Scala Regia. L'artista a causa del diverso ambiente e della diversa luce cambiò in parte la composizione e aggiunse la tenda di sfondo. Questo non è un monumento equestre che rappresenta il primo imperatore cristiano, ma un documento storico drammatico che illustra un avvenimento preciso della sua vita: il momento storicamente ed emotivamente deciso della conversione di fronte all'apparizione miracolosa della croce. Particolare attenzione bisogna prestare alla figura del cavallo diversa per molti aspetti a quella della successiva STATUA EQUESTRE DI LUIGI XIV


 datata invece 1670, destinata al giardino di Versailles, della quale oltre al marmo corroso e manomesso ci restano qualche disegno e un bozzetto. Nella prima il cavallo è completamente sollevato da terra con le zampe anteriori. Nel bozzetto della seconda il cavallo che si impenna ha bisogno di un appoggio roccioso sotto il ventre. Per quanto riguarda le figure dei due cavalieri esse sono accomunate dai mantelli idealizzati e svolazzanti al vento, che simboleggiano la dignità e la nobiltà del tema imperiale. Di Luigi XIV abbiamo anche un ritratto realizzato da Bernini nel 1665 durante il suo soggiorno in Francia. Si tratta ancora di un ritratto eroico volto alla celebrazione aulica della potenza del grande sovrano.
Nel 1663, ossia un anno dopo la realizzazione del monumento equestre di Costantino, Egli si accinge alla costruzione della SCALA REGIA



e della cappella Fonseca in Lucina. Con la scala regia l'artista riesce a rendere il significato di ascensione pur avendo a disposizione uno spazio stretto, mediante il doppio colonnato ionico e mediante un semplice accorgimento prospettico: le pareti laterali convergono dal basso verso l'alto. Mentre con il colonnato Bernini voleva diminuire la distanza tra la piazza e la facciata della basilica, con la scala, invece, sembra volesse ottenere l'effetto opposto.
L'immensa influenza di Bernini si estese oltre i confini d'Italia. La terza sua grande impresa, il LOUVRE, si trasformò nella sua più triste delusione.

 

 Nel 1665 Luigi XIV lo invitò ad andare a Parigi per affidargli la costruzione della propria reggia di cui le ali sud e ovest e metà di quella nord erano già state erette. Egli fornì tre progetti per il palazzo. Il primo è eccezionale in confronto a qualsiasi modello. Egli creò un rettangolo aperto con due ali sporgenti in avanti di quattro sezioni ciascuna e tra l'una e l'altra collocò un lungo colonnato da un centro convesso fra due braccia concave. Il progetto del palazzo anche se rimase sulla carta, sembra abbia avuto una notevole influenza sullo sviluppo delle strutture settecentesche. Il secondo progetto, spedito da Roma, presenta invece una parte centrale concava e un pianterreno abugnato. Nemmeno questo venne accettato. Nel terzo progetto disegnato a Parigi Bernini ritornò al tipo più convenzionale del palazzo romano. La facciata suddivise la tradizionale forma a blocco in cinque unità distinte sviluppando così lo schema elaborato per la prima volta nel palazzo di Montecitorio. La sporgenza centrale è messa in risalto non solo dalla dimensione di undici vani ma anche dalla decorazione con semicolonne giganti. In quest'ultimo progetto, inoltre, è interessante l'idea di costruire il palazzo sopra un basamento roccioso come un passaggio graduale dalla natura viva all'opera dell'uomo. L'edificio fu realizzato dopo anni da altri con modifiche che ne hanno snaturato l'idea fondamentale.
Bernini giunge alla conclusione del suo stile verso l'ultimo decennio di vita, quando, dal nuovo papa Clemente IX ebbe l'incarico di dirigere la decorazione di Ponte Sant'Angelo con le statue degli angeli che mostrano ai pellegrini avviati verso San Pietro gli strumenti della passione eseguite quasi del tutto da allievi e collaboratori su suo disegno (1667-71). Fece di propria mano L'angelo con la corona di spine e L'ANGELO CON IL CARTIGLIO, attualmente in Sant'Andrea delle Fratte.


 Molto singolare è L'angelo con il Cartiglio (la scritta INRI) che nel suo cordoglio per la sofferenza divina sembra quasi svenire riprendendo lo snodarsi allungato e distorto della Maddalena Chigi. Le proporzioni della figura si differenziano considerevolmente dal modello classico, poiché l'angelo si presenta sottile, con le gambe estremamente lunghe e una testa piccola in confronto al resto del corpo. Le parti nude ricordano figure gotiche. La figura, inoltre, ci appare quasi di cera e il panneggio sembra immateriale.
Nelle opere degli ultimi anni cresce il pathos religioso: torna il tema dell'estasi nella BEATA LUDOVICA ALBERTONI (1671-74, materiali utilizzati sono: il marmo e l'alabastro), in San Francesco a Ripa.



 L'opera sprigiona un fascino cui è difficile sottrarsi per l'intensità e la forza comunicativa. La beata Ludovica che esprime in modo sublime il culmine del patimento, ci appare sdraiata sul letto innalzato dietro l'altare. Al di là dell'alabastro che la separa dal mondo terreno e sullo sfondo dorato la beata ancora una volta è posta in uno spazio soprareale popolato di cherubini e simboli e aperto ad una luce filtrata. Il panneggio si accorda perfettamente all'immagine disfatta e quasi di cera della santa. Anche a questa figura così come alla Santa Teresa non sono state risparmiate in passato interpretazioni ambigue. Ora si riconosce in modo unanime la drammaticità e la spiritualità della beata. L'ultima impresa scultorea monumentale per la quale Bernini dette disegni e bozzetti, lasciandone l'esecuzione materiale ai suoi allievi, è la TOMBA DI ALESSANDRO VII



 Pur essendo un'opera di molte mani, questa presenta un'unità stilistica ininterrotta. La differenza con il monumento di Urbano VIII è grandissima: il papa non sta più in trono e in atteggiamento imperioso ma è inginocchiato, assorto in preghiera; la figura della morte non ne iscrive il nome sul bronzo perenne ma fa la sua apparizione sotto il drappo, esibendo la clessidra; alle allegorie della Carità e della Giustizia si aggiungono quelle delle virtù meditative, la Prudenza e la Verità. Di queste quella della Verità si allontana dalla prima Verità borghese, più vitale e possente e sembra riprendere lo schema compositivo della Maddalena Chigi.
Bernini fu anche pittore ma per lui la pittura fu secondaria, un'occupazione cui si dedicava solo per suo piacere. Non accettò mai commissioni importanti e perciò non sembra occasionale che la metà dei suoi dipinti finora conosciuti siano autoritratti fatti a tempo perso e non destinati a qualcuno. Essi sono fatti con pennellate brevi, vigorose che modellano le forme e rivelano la mano dello scultore. Presentano inoltre una trascuratezza dei dettagli, un modo improvvisato e abbozzato di trattare accessori come i vestiti, e una spontaneità di espressione. Inoltre la maggior parte dei suoi ritratti scolpiti, dipinti e disegnati mostrano un movimento della testa analogo, lo sguardo vivo e la bocca semiaperta come se il personaggio stesse parlando. La maggior parte dei quadri rimasti data dal 1620-1640, e ciò perché più le commissioni si accumulavano meno tempo gli rimaneva per passatempi come la pittura. Non si conosce alcun quadro degli ultimi decenni della sua vita. Mentre l'opera di Bernini come pittore rimane alquanto misteriosa, la sua influenza sulla pittura dal periodo medio in poi ci consente di scoprire la sua concezione pittorica. Per lui come la scultura era una specie di arte pittorica in tre dimensioni, la pittura era un'arte scultorea proiettata su una superficie.  Bernini muore nel 1680 :.(

Una passeggiata a Piazza di Spagna

A Roma esiste un famoso tridente che non ha niente a che vedere con il calcio ed i suoi attaccanti. Si tratta di tre notissime strade che si diramano da piazza del Popolo; osservandole dall’alto, sembra effettivamente di vedere il tridente di una divinità marina. Al centro la più lunga, via del Corso, meta indiscutibilmente legata alle prime passeggiate degli adolescenti romani, quelle passeggiate che permettono di assaporare i primi gustosi scampoli di indipendenza. Percorrendola tutta, via del Corso porta dritta a piazza Venezia. Una spada che trafigge il centro della capitale e che, come un tiro in porta da lunga distanza, arriva potente alla porta avversaria. Ai lati del Corso, sempre partendo da piazza del Popolo, ecco le più strette via di Ripetta e via del Babuino, rispettivamente rebbio destro e sinistro del tridente. Proprio all’inizio delle due strade, presenziano i due bar Canova, come due gendarmi di guardia per l’ingresso al vero centro storico di Roma, accattivanti ritrovi soprattutto per i turisti ma anche per i romani amanti della mondanità. È forte la tentazione di soffermarmi ancora su questa parte della capitale, ma mi avvio idealmente lungo via del Babuino, lasciando dietro di me negozi di moda dal nome altisonante, l’ingresso della mitica via Margutta, rifugio appartato di sofisticati e benestanti artisti, ed il Babuino, grottesco ed inquietante satiro, membro del Congresso degli Arguti (http://www.ezrome.it/pillole-di-storia/pasquino-marforio-e-le-altre-statue-parlanti-il-congresso-degli-arguti-0909.html), situato grossomodo a metà della via.

Piazza_di_spagna_img_800Cammino ancora qualche minuto e finalmente sono arrivato. Mentre rallento il passo, lo sguardo si perde su quella che, a detta di molti, rappresenta la piazza più famosa e bella di Roma. È piazza di Spagna, coacervo di persone, voci, cultura, arte, architettura, storia. Per descrivere lo spirito accattivante ed affascinante che permea questa piazza, non mi sento di seguire un rigido ordine perimetrale, toglierebbe passione ad una continua scoperta di sorprese architettoniche, panoramiche, sensoriali. La cosa migliore è senza dubbio camminare, a zonzo, senza un itinerario preciso, lasciandosi andare alla propria personale ispirazione per scoprirne tutti i meravigliosi segreti.

La piazza, con planimetria a forma di farfalla, fu più volte campo di battaglia tra francesi e spagnoli durante la travagliata occupazione a cavallo tra i secoli XVII e XVIII. A quel tempo chiamata piazza della Trinità, vide l’insediamento degli ambasciatori e dell’esercito spagnoli fin dal 1620, quando fu richiesta l’opera di Francesco Borromini per apportare le modifiche desiderate ad un preesistente edificio, al fine di costituire ciò che, visibile tutt’oggi, è l’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede. Nell’anno 1854 papa Pio IX proclamò il “Dogma dell’Immacolata Concezione di Maria” e fece posizionare davanti all'ambasciata la Colonna dell’Immacolata, un’imitazione di obelisco egizio risalente all'epoca imperiale e proveniente dagli Orti Sallustiani. Il basamento della colonna è adornato con quattro pregevoli statue di Mosè, Ezechiele, Isaia e David.
Uno dei posti d’eccezione spetta alla stupefacente ed originale Barcaccia, la fontana posta esattamente al centro della piazza, davanti alla scalinata di Trinità dei Monti. Scolpita dal celeberrimo Gian Lorenzo Bernini e dal padre Pietro, è un capolavoro artisticamente collocato nel primo periodo Barocco.
Piazza_di_spagna_scalinata_trinit_dei_montiL’opera monumentale che rappresenta il capolavoro architettonico della piazza è l’imponente scalinata di Trinità dei Monti, costruita per collegare l’Ambasciata di Spagna con la Chiesa che sovrasta la piazza e da cui la scalinata stessa prende il nome. Inizialmente idea del Cardinale Mazarino, fu realizzata sotto il papato di Innocenzo XIII ed inaugurata nel 1725 in occasione del Giubileo, quando al trono pontificio era succeduto Benedetto XIII. Progettata dall’architetto Francesco De Sanctis, la scalinata è costituita da 136 gradini di travertino strutturati in maniera originalmente visionaria. L’idea progettuale di De Sanctis era quella di realizzare un luogo che costituisse un punto di ritrovo per i cittadini, motivo per cui l’intera scalinata è costeggiata da sedili e spazi di sosta, tuttora utilizzati per osservare da un posto privilegiato il fantastico panorama sottostante. Traendo spunto da questa usanza, ancora oggi la scalinata è nota come il “Salotto di Roma”.


Salendo, sulla destra spicca un’eccezionale residenza, oggi trasformata in museo alla memoria dei poeti romantici inglesi Shelley e Keats. In particolare, quest’ultimo vi trascorse gli ultimi anni di vita, morendovi nel 1821.
Un altro personaggio storico legato alla piazza è quello dell’alchimista Giuseppe Balsamo detto Cagliostro, vissuto a Roma durante il periodo dell’Inquisizione, che pare fu arrestato proprio in una delle locande situate nei pressi della piazza.
La Chiesa di Trinità dei Monti fu costruita alla fine del XVI secolo da Giacomo della Porta ed è allineata esattamente con via Condotti, visibile per tutta la sua lunghezza dalla sommità della scalinata, splendido spettacolo serale soprattutto nei periodi di festa come quello imminente del Natale. Davanti alla Chiesa, sorge piazza di Francia, che prende il nome dalla adiacente Villa Medici, la cui proprietà è del governo francese. Consacrata sotto il papato di Sisto V, la Chiesa è collocata nel punto di partenza di via Felice (oggi via Sistina), ed era il punto di inizio dell’itinerario che portava i pellegrini in processione fino alla basilica di S. Maria Maggiore.

Piazza_di_spagna_Fontana_della_BarcacciaParlando di mondanità, e in questo contesto non è possibile farne a meno, merita una particolare menzione Babington’s, situato al numero 23 di piazza di Spagna, famosissima e storica sala da tè fondata da due aristocratiche britanniche nel 1893, come punto di ritrovo dei molti inglesi che a quel tempo abitavano le zone nobili di Roma. La sala costituisce ancora oggi un importante centro di attrazione, che ospita eventi con personaggi del jet set internazionale, politici, attori e membri delle famiglie reali.
Piazza di Spagna è ovviamente una location d’eccezione anche come set cinematografico, avendo ospitato scene famose di diversi film di successo come “C’eravamo tanto amati”, “Vacanze Romane” e “Le ragazze di Piazza di Spagna”. Per non parlare poi dell’alta moda, che propone regolarmente sfilate e passerelle nella splendida cornice monumentale della scalinata. Tra tutti, “Donna sotto le stelle” è forse l’evento più noto. Organizzato nel mese di luglio da AltaRoma, l’evento vede ogni anno la presenza di personaggi noti del mondo dello spettacolo e del cinema, che ottengono una collocazione d’eccezione nella platea per osservare da vicino le ultime creazioni degli stilisti di fama internazionale. Nel caldo delle serate estive romane, un’occasione da non perdere per chi ci tiene a dire “ieri sera a Piazza di Spagna c’ero anche io”.
Dal 1951, inoltre, durante i mesi di aprile e maggio sulla scalinata viene allestita una magnifica esposizione di azalee, un’infiorata che arricchisce l’intera piazza con colori e fascino indimenticabili.
Per chi soffre di shopping compulsivo, meglio girare alla larga, o perlomeno evitare di portarsi la (propria…) carta di credito. Infatti, buona parte del perimetro della piazza e delle vie adiacenti sono costellati di negozi griffati altamente pericolosi, guardare ma non toccare!! Solo per citarne alcuni: Roberto Cavalli, D&G e Krizia rispettivamente ai numeri 82, 94 e 87 della piazza, Versace al 27 di via Bocca di Leone, Gucci al 7b di via Borgognona, Valentino al 12° di via delle Carrozze.


Piazza_di_spagna_infiorataÈ un turbine di emozioni non è vero? Si, senza dubbio un luogo meraviglioso, un posto perfetto per incontrarsi e chiacchierare, per guardare ed essere guardati. E questo devono aver pensato negli anni recenti diversi personaggi, che hanno sfruttato in maniera più o meno originale e stravagante la notorietà della piazza per attirare l’attenzione. Per citare solamente qualche esempio, era il giugno 2007 quando, in seguito ad una manovra piuttosto rocambolesca, un’automobile discese nottetempo un tratto della scalinata di Trinità dei Monti. Nel novembre 2008 fu la volta di Laura Pausini che, sempre sulla scalinata, improvvisò un concerto a sorpresa dopo l’inaugurazione del suo album “Primavera in anticipo” in un hotel dei paraggi, inondata dai suoi fan e coperta da coriandoli colorati. E ancora, nel gennaio 2008, 500.000 palline rosse di plastica invasero la piazza e la Fontana della Barcaccia dopo essere state “riversate” dalla sommità della scalinata. Questa volta sembra che il “movente” fosse una protesta di stampo politico. Ma non sono mancate dimostrazioni anche da parte del regno animale. Nel maggio 2009, infatti, l’episodio più curioso. La Barcaccia fu transennata per diverse ore a causa di un enorme sciame d’api, che aveva scelto di posizionarsi proprio su una porzione della fontana che, emblematicamente, riporta una magnifica riproduzione di un trittico di api, lo stemma araldico dei Barberini.


Che altro aggiungere? Siamo partiti da piazza del Popolo, parlando del tridente urbanistico della Capitale, e siamo arrivati alla stupenda piazza di Spagna. Un gol speciale, che possono segnare tutti. Non servono calzoncini e maglietta da calcio, ma solo delle comode scarpe da passeggio. Buon divertimento!

Fonte: http://www.ezrome.it/una-passeggiata-in-citta/una-passeggiata-a-.-piazza-di-spagna-1410.html